Il presidente della Repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi, cammina a fianco di Xi Jinping durante la cerimonia di benvenuto alla Grande Sala del Popolo a Pechino, il 26 maggio (Bloomberg).
Cobalto e litio, le mire cinesi in Africa e America Latina
Il 24 maggio è cominciata la visita di Felix Tshisekedi in Cina. Il presidente della Repubblica democratica del Congo (RdC) - preceduto pochi giorni fa dall’omologo eritreo - è stato accolto da Xi Jinping nella Grande sala del popolo. Il leader cinese ha ricordato come “la Cina è stata il primo partner commerciale e la principale fonte di investimento” per il Paese africano, con cui vuole rafforzare la cooperazione nei settori energetico, agricolo, manifatturiero, sanitario, digitale nonché delle attività estrattive. I due leader hanno stabilito di elevare le relazioni bilaterali a “ partenariato strategico di cooperazione comprensiva". Ma, aldilà degli annunci ufficiali, non è un mistero che Tshisekedi sia andato a Pechino soprattutto per rinegoziare gli accordi minerari stipulati nel 2008 dal predecessore Joseph Kabila. Le trattative procedono “meravigliosamente” ha dichiarato ai media un funzionario della delegazione congolese.
Ombre cinesi sulle miniere del Congo
Secondo Darton Commodities, nel 2021 la RdC ha prodotto il 72% del cobalto mondiale, un ingrediente chiave utilizzato nella fabbricazione di batterie per auto elettriche e vari dispositivi elettronici. La RdC è anche il primo produttore di rame dell’Africa, e ospita il 70% delle riserve mondiali di coltan, minerale fondamentale per l’industria di telefoni cellulari e computer. Presente nel Paese da anni, la Cina controlla ormai 15 delle 19 miniere di cobalto più importanti della RdC, tanto che il 90% dell’export del metallo si stima finisca oltre la Grande Muraglia, dove viene raffinato circa l’80% del totale di quanto estratto nel Paese africano.
Due sono gli accordi nel mirino delle autorità congolesi:
quello che coinvolge il gigante minerario China Molybdenum Company nella miniera di rame e cobalto di Tenke Fungurume, rinegoziato ad aprile.
quello che riguarda la joint venture Sicomines tra la società mineraria statale congolese Gécamines e le cinesi Sinohydro e China Railway.
Questo secondo prevedeva un investimento di 6 miliardi di dollari, di cui tre per l’estrazione di rame e cobalto e altri tre per la realizzazione di strade, ospedali e altre infrastrutture. Ad oggi però sono stati spesi solo 800 milioni di dollari nei progetti costruttivi.
Cosa chiede Tshisekedi?
Il governo congolese ritiene che quanto costruito dalle aziende cinesi non corrisponda al valore dei minerali estratti, di molto superiore. Secondo Reuters, durante la sua permanenza a Pechino Tshisekedi chiederà di alzare la quota del governo nella joint venture Sicomines al 70% rispetto all’attuale 32%. Nello specifico, le autorità di Kinshasa sottolineano inoltre come l’accordo con la Cina fosse sottostimato fin dall'inizio, perché prevede investimenti per 6 miliardi di dollari laddove le riserve presso il sito valevano 90 miliardi di dollari al momento della firma.
Non solo cobalto
Secondo i dati raccolti da Rystad e Benchmark, negli ultimi due anni, le aziende cinesi hanno speso 4,5 miliardi di dollari per acquisire quote di partecipazioni in quasi 20 miniere di litio, la maggior parte delle quali situate in America Latina e Africa.
La Cina ha alcuni assi nella manica:
Come spiega il Wall Street Journal, “i paesi in via di sviluppo spesso preferiscono collaborare con aziende cinesi che di solito sono anche impegnate nella lavorazione, raffinazione o produzione di batterie. Questo le rende inclini a garantire un approvvigionamento stabile di materia prima anziché limitarsi a estrarla a basso costo e venderla a caro prezzo. Così facendo possono garantire ai paesi ospitanti un flusso costante di reddito”.
Le aziende cinesi presentano i propri investimenti come aiuti allo sviluppo: Sinomine Resource Group, che ha acquisito una miniera di litio in Zimbabwe per 180 milioni di dollari, ad esempio, ha promesso di creare oltre 1.000 nuovi posti di lavoro e di migliorare le infrastrutture locali come elettricità, strade e ponti.
Qualche difficoltà all’orizzonte
Il Cile, terzo paese per riserve mondiali di litio, ha introdotto un piano di nazionalizzazione secondo il quale tutti i nuovi progetti estrattivi e di raffinazione dell’oro bianco dovranno avvenire nell’ambito di partnership pubblico-private, gestite dallo Stato. Seppur i contratti esistenti non verranno vietati, molti verranno rinegoziati. A questo proposito il Global Times recentemente scriveva che “Chile's lithium nationalization plan may have negative impact on China's supply”. Altri Paesi, come lo Zimbabwe, stanno invece puntando sulla localizzazione dei processi di raffinazione; quelli che generano maggiori profitti per la popolazione locale e che la Cina attualmente controlla per il 65% dello share globale.
di Alessandra Colarizi